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» Accertamento esecutivoCon decorrenza dal 1° ottobre 2011, il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122) ha istituito una nuova procedura di riscossione dei tributi, che prescinde totalmente dal ruolo e dalla cartella esattoriale. Il «nuovo» avviso di accertamento è, di per sé, «titolo esecutivo», perché rientra fra «gli... atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva» (come esige l'articolo 474 del Codice di procedura civile). Inoltre, come previsto dall'art. 29 del decreto legge n. 78/2010, il nuovo avviso di accertamento ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni devono contenere anche l'intimazione ad adempiere - entro il termine di presentazione del ricorso - all'obbligo di pagare gli importi in essi indicati o un terzo delle maggiori imposte accertate - a titolo provvisorio - nel caso in cui si decida di ricorrere davanti alla Commissione tributaria. L'avviso di accertamento deve essere sempre motivato, a pena di nullità, e deve indicare:
L'articolo 29, lettera b), del Dl 78/2010 dispone che gli avvisi di accertamento, emessi dall'agenzia delle Entrate a partire dal 1° ottobre 2011, diventano esecutivi dopo 60 giorni dalla notifica e devono espressamente riportare l'avvertimento che, trascorsi 30 giorni dal termine utile per il pagamento, la riscossione delle somme richieste sarà affidata agli agenti della riscossione. Sessanta (60) giorni sono il tempo «normale» per adire il giudice, e per pagare gli importi intimati, ma il termine per ricorrere è soggetto a sospensioni ed a proroghe.
Ad ogni buon conto, il contribuente deve provvedere al pagamento delle somme dovute entro il termine di presentazione del ricorso. Se non vi provvede, la riscossione delle somme dovute viene affidata all'agente della riscossione, anche ai fini dell'esecuzione forzata. Attenzione: l'esecuzione forzata è comunque sospesa per legge per un periodo di 180 giorni dall'affidamento in carico agli agenti della riscossione dell'atto, senza che sia richiesto al contribuente alcun adempimento. La sospensione non si applica con riferimento alle azioni cautelari (ipoteca e fermo) e conservative e ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. La norma accorda questa sospensione dell'esecuzione non soltanto a chi presenta ricorso e istanza di sospensione, ma anche a chi non impugna o definisce l'atto e, conseguentemente, accetta la pretesa del fisco. Se esiste un giustificato pericolo per il positivo esito della riscossione, trascorsi 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento e del provvedimento di irrogazione delle sanzioni, l'esazione delle somme in essi indicate potrà essere affidata agli agenti della riscossione anche prima del decorso dei termini previsti nel loro ammontare integrale comprensivo di interessi e sanzioni. Infine, è previsto che l'agente della riscossione dovrà attivare l'espropriazione forzata - a pena di decadenza - entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo. » Le diverse ipotesi di pagamentoL'acquiescenza Il contribuente che riceve un avviso di accertamento ha l'opportunità, se rinuncia a presentare ricorso, di ottenere una riduzione delle sanzioni. L'accettazione dei contenuti dell'atto ed il pagamento delle somme dovute, giuridicamente definita "acquiescenza", comporta infatti la riduzione a 1/3 delle sanzioni amministrative irrogate, sempre che il contribuente:
Attenzione: per l'acquiescenza all'accertamento, la manovra dello scorso luglio (Dl 98/2011 convertito dalla legge 111/2011) ha soppresso l'obbligo di garanzia anche nel caso in cui l'ammontare complessivo delle rate successive alla prima è di importo superiore a 50.000 euro. Tuttavia, la soppressione dell'obbligo di garanzia ha determinato l'aumento delle sanzioni in caso di mancato pagamento delle rate diverse dalla prima. È stato infatti previsto che, nel caso di mancato pagamento di una rata diversa dalla prima entro tre mesi dal termine di pagamento della rata successiva, si perde il beneficio della rateazione e il competente ufficio dell'agenzia delle Entrate emette un nuovo avviso esecutivo per le somme ancora dovute, con applicazione della sanzione doppia (60%) sull'importo residuo dovuto a titolo di tributo. L'adesione Entro il termine per la presentazione del ricorso, il contribuente potrà sempre proporre, nel caso in cui vi fossero margini per intraprendere una trattativa con l'amministrazione finanziaria, istanza di accertamento con adesione, sospendendo così il pagamento per 150 giorni complessivi (ossia di altri 90 giorni, oltre ai 60 già previsti per l'eventuale proposizione del ricorso). Se la scadenza dei 150 giorni dovesse cadere durante la pausa estiva dei termini processuali (1° agosto - 15 settembre), il contribuente beneficerà di un ulteriore periodo di 46 giorni. La procedura di adesione permette di "patteggiare" il maggiore imponibile contestato, oltre che di ottenere uno "sconto" sulle sanzioni irrogate che saranno rideterminate nella misura di 1/3 del minimo previsto dalla legge. Il contribuente, dunque, una volta ricevuto l'atto non preceduto da invito a comparire, può attivare la procedura di adesione, presentando all'ufficio una domanda in carta libera. La domanda, con l'indicazione del recapito anche telefonico, deve essere presentata all'ufficio che ha emesso l'atto di accertamento, mediante consegna diretta o a mezzo posta, entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento. Se la domanda viene inviata per posta ordinaria vale la data di arrivo all'ufficio, mentre se viene spedita mediante plico raccomandato (senza busta) con avviso di ricevimento vale la data di spedizione. L'ufficio, entro 15 giorni dal ricevimento della domanda, è tenuto a invitare, anche telefonicamente, il contribuente a comparire. Se non si raggiunge un accordo, il contribuente può presentare ricorso alla Commissione tributaria provinciale contro l'avviso di accertamento. In caso di esito favorevole del contraddittorio, il procedimento di adesione si conclude con la redazione di un atto, in doppia copia, nel quale vengono indicati:
Per l'adesione all'accertamento, come già per l'acquiescenza, la manovra dello scorso luglio (Dl 98/2011 convertito dalla legge 111/2011) ha soppresso l'obbligo di garanzia per il pagamento rateale a seguito di adesione, anche nel caso in cui l'ammontare complessivo delle rate successive alla prima è di importo superiore a € 50.000. Per il versamento delle somme dovute (comprese le sanzioni) a seguito dell'adesione è possibile effettuare la compensazione con i crediti d'imposta del contribuente, ai sensi dell'articolo 17 del Dlgs n. 241/1997. Le modalità di pagamento Le somme dovute, dopo acquiescenza o adesione, potranno essere versate in un'unica soluzione o in forma rateale con il modello F24. Entro 10 giorni dal versamento dell'intero importo o della prima rata, il contribuente deve far pervenire all'ufficio la quietanza di pagamento. Se il contribuente verserà le somme dopo il termine di presentazione del ricorso, oltre alle somme dovute a titolo d'imposta, sanzioni e interessi, dovrà corrispondere gli aggi della riscossione nella misura del 9% e gli interessi di mora al tasso annuo del 5,0423%. Invece di versare l'importo dovuto in un'unica soluzione, il contribuente potrà effettuare il pagamento, senza la presentazione di garanzia, in 8 rate trimestrali di pari importo o, se l'importo dovuto supera € 51.645,69, in 12 rate trimestrali sempre di pari importo. Tuttavia, per le rate successive alla prima sono dovuti gli interessi legali. Decorsi 90 giorni dalla notifica dell'avviso esecutivo o, in caso di ricorso, a seguito della sentenza di condanna, il contribuente, laddove si trovi in una obiettiva situazione di temporanea difficoltà, potrà presentare all'agente della riscossione un'istanza di dilazione fino ad un massimo di 72 rate senza il rilascio di alcuna garanzia. » Rateazione per temporanea difficoltàTrascorsi 30 giorni dalla scadenza del termine ultimo per il pagamento o, successivamente alla sentenza definitiva di soccombenza, il contribuente potrà chiedere all'agente della riscossione la dilazione di quanto dovuto, in presenza di un'obiettiva situazione di temporanea difficoltà, fino a 72 rate mensili. La dilazione viene concessa mediante provvedimento amministrativo, senza limiti di importo e senza il rilascio di alcuna garanzia, a condizione però che il contribuente dimostri di trovarsi in una obiettiva situazione di temporanea difficoltà. Sugli importi rateizzati si applicano gli interessi da dilazione come previsto dall'articolo 21 del Dpr 602/73, attualmente nella misura del 4,5% annuo. L'istanza potrà essere consegnata, in carta semplice, senza applicazione di alcuna imposta di bollo, direttamente allo sportello di Equitalia o a mezzo servizio postale, con l'indicazione del domicilio eletto e dei documenti necessari ai fini della dimostrazione della sussistenza dei presupposti per l'ottenimento della rateazione, quali la temporanea situazione di obiettiva difficoltà. I documenti da allegare variano, invece, a seconda che l'importo iscritto a ruolo e per cui si chiede la rateazione sia o meno superiore a 5.000 euro e se il soggetto richiedente sia una persona fisica ovvero una società. Ai sensi del Dlgs n. 196/2003, è necessario che il contribuente autorizzi Equitalia al trattamento dei dati contenuti nell'istanza e nei relativi allegati. In mancanza di tale autorizzazione, infatti, il concessionario non procederà all'esame della richiesta di dilazione. Per importi iscritti a ruolo fino a 5.000 euro la condizione di temporanea difficoltà non è soggetta ad alcuna valutazione da parte dell'agente della riscossione. In particolare, con la direttiva n. 17/2008, Equitalia ha chiarito che in caso di presentazione di un'istanza di dilazione per importi fino a 5.000 euro, la richiesta viene accolta e concessa secondo il seguente numero massimo di rate mensili:
La decadenza Il contribuente decade automaticamente dal beneficio della rateizzazione qualora ometta di versare la prima rata o, in seguito, due rate successive, sebbene non consecutive. In tali casi, infatti, l'intero importo dovuto e non ancora versato sarà automaticamente e immediatamente riscuotibile in un'unica soluzione e non potrà essere più rateizzato. Di conseguenza sarà iniziata o ripresa l'azione di recupero coattivo delle predette somme. Infine, nell'ipotesi in cui il contribuente sia decaduto dal beneficio di una dilazione di somme dovute non potrà ottenere ulteriori dilazioni per nuovi debiti fino a che non provvederà ad estinguere, in unica soluzione, il debito precedentemente rateizzato. » La dilazione per le societàPer importi dovuti superiori a 5.000 euro relativi a persone fisiche e ditte individuali in contabilità semplificata, le istanze sono esaminate da Equitalia prendendo in considerazione l'entità delle somme dovute e l'indicatore della situazione economica equivalente (Isee) del nucleo familiare del debitore. Per le società (di persone e di capitali), per le cooperative, le mutue assicuratrici, gli enti non commerciali, nonché le ditte individuali in contabilità ordinaria con somme dovute di importo superiore a 5.000 euro, la situazione di temporanea difficoltà economica viene, invece, esaminata da Equitalia tramite un'analisi finaziaria basata su due indicatori:
Per le società che non sono obbligate a redigere il bilancio secondo lo schema previsto all'articolo 2424 del Codice civile, è comunque possibile determinare, in forma aggregata, l'indice di liquidità, attraverso la somma della liquidità differita alla liquidità corrente e dividendo il risultato per le passività correnti. Laddove l'indice di liquidità è uguale o superiore a 1, non sussiste il requisito della temporanea difficiltà e, dunque, non è possibile ottenere la dilazione. Se, invece, l'indice di liquidità è inferiore a 1, allora vuol dire che la società non è in grado di coprire le passività con le proprie entrate. Equitalia procederà poi con la verifica dell'ulteriore indice Alfa, calcolato come rapporto tra debito complessivo (comprensivo di interessi di mora, aggi, spese esecutive e diritti di notifica) e valore della produzione rettificato (pari alla somma degli importi relativi ai numeri 1, 3, 5 della voce A del conto economico), moltiplicato per 100. Se l'indice Alfa è pari almeno a 3, allora sussiste l'obiettiva situazione di temporanea difficoltà e dunque l'istanza di rateazione può essere accolta nei seguenti termini:
Rifiuto della rateizzazione Il provvedimento di rifiuto della rateizzazione del debito tributario va impugnato - entro 60 giorni - dinanzi alla commissione tributaria provinciale e non al giudice amministrativo. L'hanno stabilito, con orientamento ormai consolidato, le Sezioni unite della Cassazione (ordinanze 5928/11 e 20781/10). Il supremo collegio, infatti, ha ritenuto che la rateazione è un'agevolazione relativa alla riscossione delle imposte prima della fase esecutiva e pertanto la giurisdizione è della commissione tributaria e non del Tar. La decisione delle Sezioni unite si è resa necessaria dopo che era sorta una diatriba tra l'agente della riscossione - che con la direttiva 2070/2008 riteneva che il diniego potesse essere impugnato al Tar - e tutti coloro che, invece, ritenevano che la giurisdizione fosse dei giudici tributari. Alcune giurisdizioni di merito e alcuni tribunali amministrativi si sono posti in contrasto con la direttiva di Equitalia. Tuttora, però, restano altri punti controversi. Ad esempio, per la Commissione tributaria provinciale di Milano (sentenza 152/21/2011), i giudici tributari hanno il potere di decidere se il diniego è legittimo o illegittimo, ma non hanno il potere di allungare il piano di ammortamento per il pagamento del debito. » La sospensiva giudizialeIl contribuente, se dall'atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla Commissione tributaria provinciale competente, ai sensi dell'articolo 47 del Dlgs 31 dicembre 1992 n.546, la sospensiome dell'esecuzione dell'atto stesso con istanza motivata. L'istanza può essere «proposta nel ricorso, o con atto separato notificato alle altre parti e depositato in segreteria». Se è proposta con atto separato, i due originali (quello notificato all'ufficio e quello depositato) devono essere conformi (e certificati tali, anche dal ricorrente). All'istanza depositata in segreteria va allegata la prova della notificazione all'ufficio. La sospensione può essere concessa dal giudice in presenza di due condizioni essenziali:
La Commissione decide sull'istanza in Camera di consiglio, previa convocazione delle parti almeno 10 giorni "liberi" prima. Il nuovo comma 5-bis all'articolo 47 del Dlgs 546/1992 ha disposto che «l'istanza di sospensione sia decisa entro 180 giorni dalla data di presentazione della stessa». I giudici quindi, entro tale termine, dovranno disporre l'ordinanza di accoglimento o di rifiuto della richiesta di sospensiva. Va tuttavia avvertito che il termine disposto per la decisione della sospensiva non è perentorio. Il suo rispetto quindi dipende dal grado di efficienza e di "affollamento" delle singole Commissioni. La procedura ordinaria prevede che l'istanza di sospensione sia decisa collegialmente dalla Commissione, con propria ordinanza. In casi eccezionali, quando sussistono motivi di comprovata urgenza, il provvedimento di sospensione può essere adottato in via provvisoria dal Presidente, con decreto. Il decreto deve poi essere confermato in sede di esame collegiale dalla Commissione. Il provvedimento adottato in sede cautelare può sempre essere modificato o revocato dalla Commissione, in presenza di circostanze di fatto nuove. Concessa la sospensione, all'agente della riscossione sono interdette, fino alla sentenza che decide il ricorso, tutte le azioni esecutive e cautelari. In proposito sono necessarie, però, alcune considerazioni. Il versamento del terzo è dovuto entro il termine per presentare ricorso, ossia entro 60 giorni dalla notifica o entro 150 giorni nel caso di presentazione dell'istanza di accertamento con adesione. Quindi dal 61° giorno o dal 151° il contribuente non è in regola con i versamenti dovuti, nonostante la richiesta di sospensiva. Anche se il termine può essere "condizionato" dall'eventuale pausa estiva (dal 1°agosto al 15 settembre) nell'attività delle Commissioni. L'articolo 29 del decreto Sviluppo (Dl 70/2011) prevede che decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, il credito è trasferito all'agente della riscossione ma stabilisce anche, che l'eventuale azione forzata è sospesa per un termine di 180 giorni dalla data dell'affidamento agli agenti della riscossione. Il fermo di 180 giorni vale solo per l'esecuzione forzata ma non per le azioni cautelari e conservative, nonché per ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. Il fermo amministrativo del mezzo o l'iscrizione ipotecaria, ad esempio, potrebbero essere legittimamente intraprese dall'agente della riscossione, non essendo prevista una sospensione esplicita in caso di proposizione dell'istanza di sospensione. Tuttavia la legge di conversione 106/2011 del Dl 70/2011 prevede che non si possa procedere con l'iscrizione dell'ipoteca se l'importo complessivo del debito è inferiore a 20.000 euro o se l'immobile potenzialmente ipotecabile sia adibito ad abitazione principale del contribuente debitore. In tutti gli altri casi, il concessionario della riscossione non può procedere se l'importo del debito è inferiore a 8.000 euro. Per le azioni cautelari relative a debiti inferiori a 2.000 euro, l'agente della riscossione è tenuto a inviare mediante posta ordinaria due solleciti di pagamento, il secondo dei quali dopo almeno sei mesi dal primo. In tale ipotesi, considerando che le commissioni tributarie hanno 180 giorni complessivi per decidere sulla sospensione, è certo che prima di qualunque azione, intervenga la decisione. In ipotesi diverse, però, il contribuente potrebbe subire delle azioni da parte degli agenti della riscossione, ancor prima che intervenga la decisione del giudice. L'eventuale ordinanza di sospensione, intervenuta successivamente ad azioni cautelari intraprese, non consentirebbe di pretenderne la revoca, con tutte le conseguenze che ciò comporta: l'impossibilità di cedere a terzi i beni ipotecati, le richieste di mutui, i finanziamenti. » La sospensione amministrativaLa sospensione amministrativa è disciplinata dall'articolo 39 del Dpr 602/1973 applicabile anche ai nuovi accertamenti, proprio in conseguenza dell'esecutività degli stessi. I requisiti necessari per poter procedere con la richiesta, sono gli stessi previsti per la sospensione giudiziale, quindi deve essere presentato il ricorso, deve esistere il fumus boni juris e il periculum in mora. L'istanza va presentata in carta semplice all'ufficio che ha emesso l'atto. Alla stessa vanno allegati copia dell'atto impugnato e copia del ricorso presentato. Il Dl 70/2011, come modificato in sede di conversione dalla legge 106/2011, ha apportato significative novità con riguardo alla procedura riscossiva, definendo anche un periodo di sospensione automatica dell'esecuzione. Più precisamente, il Dl 70/2011 prevede ora che l'esecuzione forzata sia sospesa per un periodo di 180 giorni dall'affidamento in carico agli agenti della riscossione degli avvisi di accertamento esecutivi. Tale sospensione non si applica, però, con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonché a ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. La sospensione citata non opera altresì nei casi in cui gli agenti della riscossione, successivamente all'affidamento in carico degli atti, vengano a conoscenza di elementi idonei a dimostrare il fondato pericolo di pregiudicare la riscossione. In definitiva, il contribuente dovrà valutare con attenzione le diverse strategie difensive in ordine all'esigenza di sospendere l'attività esecutiva degli agenti della riscossione in ordine ai nuovi accertamenti esecutivi. Di fronte a un accertamento emesso dall'agenzia delle Entrate dopo il 1° ottobre 2011, il contribuente potrebbe dapprima presentare un'istanza di accertamento con adesione fruendo del termine di ulteriori 90 giorni in cui esporre agli uffici finanziari la propria posizione. Conclusa senza esito la fase dell'accertamento con adesione e adita la via del contenzioso giurisdizionale, il contribuente potrebbe produrre una domanda di sospensione amministrativa ex articolo 39 del Dpr 602/1973. In alternativa (ovvero parallelamente) alla richiesta di sospensione amministrativa, il contribuente potrebbe presentare la domanda di sospensione cautelare ex articolo 47 del Dlgs 546/1992, sempre che la sospensione amministrativa nel frattempo non sia stata accordata. Tuttavia, solo per la domanda di sospensione giudiziale il contribuente avrà la certezza di ottenere una risposta entro il termine di 180 giorni dalla data di presentazione dell'istanza di sospensione. In ogni caso, qualunque sia la via prescelta, il contribuente fruirà comunque della sospensione automatica per un periodo di 180 giorni dall'affidamento in carico agli agenti della riscossione degli avvisi di accertamento esecutivi. Nel caso di accoglimento della richiesta, il contribuente non dovrà versare alcuna somma, almeno fino al deposito della sentenza della commissione tributaria provinciale. La richiesta potrebbe essere accolta anche previo rilascio di apposita garanzia. Nel caso di rifiuto alla richiesta, sia espresso che tacito (silezio-rifiuto), il contribuente può decidere di impugnare al Tar la decisione dell'ufficio. In questo caso sarà necessario motivare circa i vizi del diniego, in quanto il Tar non è competente in materia tributaria. È il caso di un diniego non motivato o motivato in modo illogico e così via. La circolare 21/E/2011, in riferimento alle istanze di sospensione della riscossione, prevede che debbano essere puntualmente esaminate, anche quando il contribuente contesti il fondamento dell'avviso di accertamento chiedendone l'annullamento in sede di autotutela. Queste attività sono rilevanti al fine di rendere effettivo il principio di equità fiscale. La sospensione amministrativa, come detto, può convivere con quella giudiziale, ossia può essere presentata in aggiunta. Tuttavia è verosimile sostenere che l'ordinanza della Commissione, se precedente alla decisione delle Entrate, ne condizioni il successivo comportamento. Infatti se la Commissione tributaria provinciale accogliesse la richiesta del contribuente, l'agenzia sarebbe obbligata a rispettare l'ordinanza. In caso di rifiuto, avrebbe un motivo in più per non accoglierla. Tuttavia potrebbe essere utile presentare l'istanza sospensiva amministrativa per ottenere in tempi più celeri - rispetto alla Commissione - l'eventuale sospensione, evitando così le azioni cautelari dell'agente della riscossione.
» L'adozione di fermo e ipotecaAlla luce delle novità in materia di efficacia dell'avviso di accertamento, l'agente della riscossione, solo dopo l'affidamento del carico delle somme per la riscossione, può iscrivere l'ipoteca o disporre il fermo, ai sensi rispettivamente degli articoli 77 e 86 del Dpr 602/1973. Occorre comunque ricordare che l'agente della riscossione, prima di assumere dette misure, deve verificare se - data la situazione di fatto - la loro adozione sia "necessaria" e, in caso affermativo, deve scegliere quella meno pregiudizievole degli interessi dei contribuenti. Con la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto Sviluppo 70/2011, l'agente della riscossione non può iscrivere l'ipoteca di cui all'articolo 77 del Dpr 602/1973 se « l'importo complessivo del credito per cui lo stesso procede è inferiore complessivamente a: 1) 20.000 euro, qualora la pretesa iscritta a ruolo sia contestata in giudizio ovvero sia ancora contestabile in tale sede e il debitore sia proprietario dell'unità immobiliare dallo stesso adibita a propria abitazione principale, ai sensi dell'articolo 10, comma 3-bis, del Tuir; 2) 8.000 euro, negli altri casi ». Inoltre, con le modifiche al decreto legge 78/2010 si è previsto di aggiungere il comma 2-bis all'articolo 77, con il quale si stabilisce che l'agente è tenuto a notificare al proprietario dell'immobile una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme entro il termine di 30 giorni sarà iscritta l'ipoteca. In sede di conversione, la modifica apportata all'articolo 7 del decreto Sviluppo, lettera gg-quinquies), prevede che, nelle ipotesi di riscossione coattiva per somme inferiori a 2.000 euro, le azioni cautelari (e anche quelle esecutive) debbano essere precedute dall'invio mediante posta ordinaria di due solleciti di pagamento, il secondo da inviare dopo almeno sei mesi dal primo. Quanto al fermo, l'articolo 86 del Dpr 602/1973 stabilisce che - decorso inutilmente il termine di cui al comma 1 dell'articolo 50 - il concessionario può disporre il fermo. E dalle modifiche ex articolo 29, comma 1, lettera g), del Dl 78/2010, risulta che, decorso il termine di 60 giorni dalla notifica dell'avviso di accertamento senza il pagamento, l'agente può procedere a iscrivere il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati. Peraltro, il Dl 70/2011 stabilisce che, in caso di cancellazione del fermo amministrativo iscritto sui beni mobili registrati ai sensi dell'articolo 86 del Dpr 602/1973, il debitore non sia tenuto al pagamento di spese né all'agente della riscossione, né al pubblico registro automobilistico gestito dall'Aci o ai gestori degli altri pubblici registri. Resta inteso che nei confronti dei provvedimenti ex articolo 77 e 86 del Dpr n. 602/1973 la soluzione forse più efficace per tentare una tutela del contribuente è rappresentata dalla richiesta di sospensione urgente, disposta dall'articolo 47, comma 3, del Dlgs 546/1992. La norma prevede che il presidente della Commissione (o il presidente della sezione, se il ricorso le è stato assegnato), in caso di eccezionale urgenza, può motivatamente disporre la provvisoria sospensione dell'esecuzione fino alla pronuncia del collegio. I requisiti per richiederla sono gli stessi della sospensiva giudiziale (il fumus boni juris e il periculum in mora). Inoltre, è necessario motivare l'urgenza del perché si chiede tale provvedimento. Alla luce dei nuovi accertamenti esecutivi, potrebbe essere utile rilevare che eventuali azioni cautelari intraprese potrebbero, ad esempio, bloccare l'accesso al credito per l'azienda, bloccare gli incassi di fatture attive emesse a pubblici enti e così via. In tale contesto, il Consiglio di presidenza di giustizia tributaria con una delibera del 19 febbraio 2008 (ribadita nella successiva delibera 122/2010), prendendo atto proprio dalla difficoltà pratica di fissare le udienze di sospensiva in tempi brevi, ha esortato le commissioni tributarie ad applicare il disposto dell'articolo 47, comma 3, del Dlgs 546/1992. In realtà questa norma finora è stata poco applicata dalle commissioni tributarie, e l'insuccesso proviene dal dover deliberare senza contraddittorio (inaudita altera parte), ed è nota la ritrosia dei giudici a pronunciarsi senza sentire « le due campane ». Ma con gli accertamenti esecutivi e con la loro impugnazione, è prevedibile un aumento di istanze di sospensione urgente presentate, in quanto, salvo modifiche normative o chiarimenti di prassi al riguardo, potrebbe risultare l'unico rimedio per fermare ogni azione possibile, in attesa dell'accoglimento (o meno) dell'istanza di sospensiva.
» L'autotutelaL'autotutela è la capacità riconosciuta dall'ordinamento alla pubblica amministrazione di "riesaminare criticamente la propria attività, in vista della esigenza di assicurare il più efficace perseguimento dell'interesse pubblico, ed eventualmente correggerla mediante l'annullamento o la revoca di atti ritenuti illegittimi". È di tutta evidenza che l'istituto, se applicato, contribuisce a una sostanziale riduzione del contenzioso tributario, con conseguente alleggerimento delle spese di soccombenza, e al miglioramento dei rapporti con i contribuenti. L'istituto dell'autotutela è stato concepito dalle previsioni di cui all'art. 68 del Dpr 27 marzo 1992, n. 287 e all'art. 2-quater del Dlgs 30 settembre 1994, n. 564 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656) e regolamentato dal decreto del Ministero delle Finanze n. 37 dell'11 febbraio 1997. Da tale normativa è possibile ricavare i seguenti principi:
Ogni qual volta l'amministrazione emana un atto di autotutela deve darne preventivo avviso al soggetto destinatario e anche all'organo giurisdizionale davanti al quale sia eventualmente pendente il relativo contenzioso. Il potere di annullamento o revoca dell'atto, o di rinuncia all'imposizione sorge in tutti i casi di illegittimità dell'atto o dell'imposizione rispondenti alle seguenti fattispecie:
GLI ASPETTI ESSENZIALI DELL'AUTOTUTELA
Come già chiarito, l'annullamento dell'atto illegittimo può avvenire sia per iniziativa dello stesso Ufficio che lo ha emanato, sia su domanda del contribuente. Quando è il contribuente a richiedere il riesame della pretesa, può presentare un'istanza all'ufficio che ha emesso il provvedimento, nella quale dovrà motivare gli elementi ritenuti errati o non considerati. Non esistono scadenze o termini e l'unica preclusione è l'intervenuta sentenza passata in giudicato sugli stessi motivi per i quali si chiederebbe l'annullamento in autotutela. L'istanza non è soggetta al rispetto di forme particolari: è sufficiente trasmettere all'Ufficio competente una semplice memoria in carta libera contenente un'esposizione sintetica dei fatti corredata dalla documentazione idonea a comprovare le tesi sostenute. L'istanza di autotutela non sospende né i termini per ricorrere né eventuali azioni cautelari o forzate dell'agente della riscossione. In altri termini, se non interviene l'annullamento formale, perché l'accertamento non diventi definitivo, dovrà essere impugnato o sarà necessario provvedere al pagamento. L'istanza può essere presentata anche in pendenza di giudizio o di accertamento con adesione. All'istanza possono conseguire due ipotesi: l'annullamento dell'atto o il rifiuto all'accoglimento. Il rifiuto potrebbe essere impugnato davanti alle commissioni tributarie. Questo trova conferma nella sentenza n. 7388/2007 delle Sezioni unite della Cassazione. La recente sentenza della Cassazione n. 3519/2010 ha avuto modo di chiarire che l'amministrazione possa procedere a una rivalutazione qualitativa e quantitativa degli elementi. Analoga interpretazione si riscontra nella sentenza della Commissione tributaria provinciale di Brescia n. 133/7/10. I giudici provinciali precisano che la definitività degli atti impositivi non osta al potere/dovere di annullamento e che la discrezionalità concessa è il dovere di intervenire per eliminare la illegittimità dell'atto. Opposta linea giurisprudenziale, tra cui la sentenza della Cassazione a Sezioni unite n. 3698/2009, ritiene che il rifiuto non rientri nelle previsioni all'articolo 19 del Dlgs 546/1992, sia per la discrezionalità da cui l'autotutela è connotata, sia perché si darebbe ingresso a un'inammissibile controversia di un atto definitivo. Il potere discrezionale dell'ufficio, tuttavia, dovrebbe essere opportunamente motivato. Non è da trascurare infatti, che il rifiuto, in quanto atto emesso da una pubblica amministrazione, deve contenere tutti gli elementi obbligatori previsti dall'articolo 3 della legge 241/1990 sia dall'articolo 7 della legge 212/2000. Nel provvedimento devono emergere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione, devono essere allegati gli atti eventualmente richiamati e deve riportare il nome del responsabile del procedimento. » Il ricorsoLa disciplina del ricorso è stata interessata da tutta una serie di modifiche "procedurali" contenute nelle manovre estive. L'ultima novità introdotta dalla legge 148/2011 di conversione del decreto legge 138/2011 è la nota di iscrizione a ruolo che soppianta la nota di deposito (in vigore dal 27 febbraio 2006). Nella nota di iscrizione a ruolo che dovrà essere compilata (scaricabile dal sito del ministero dell'Economia e delle Finanze) saranno riassunti i dati salienti della causa: - tipologia di giudizio; - valore della causa; - contributo unificato; - dati del ricorrente e del resistente; - oggetto del ricorso e atto impugnato. La nota di iscrizione a ruolo andrà depositata in commissione tributaria insieme al ricorso e ai documenti ad esso allegati entro 30 giorni dalla notifica. In questo modo la cancelleria rilascerà un certificato contenente il numero di ruolo assegnato alla causa. Il deposito dell'atto impugnato (anche in copia) deve essere effettuato a pena di inammissibilità. Nel ricorso, inoltre, andrà indicato il valore della lite, l'indirizzo della posta elettronica certificata (Pec) e di fax necessari per dare concreta attuazione all'avvio delle procedure di comunicazione e notificazione degli atti giudiziari per via telematica. La mancata indicazione del codice fiscale del ricorrente, della Pec e del numero fax del difensore non rendono inammissibile il ricorso. Comportano l'applicazione della sanzione nella misura pari al 50% dell'importo del contributo unificato. Se manca il codice fiscale del difensore, è applicabile la sanzione da 103 a 2.065 euro, senza alcun effetto sulla validità del ricorso, malgrado il contrario parere della circolare n. 41/E delle Entrate che ha ravvisato l'irricevibilità del ricorso. Per la mancata indicazione del valore della lite si applica il contributo unificato pari a 1.500 euro. La tassa d'ingresso nel rito tributario, in vigore dal 7 luglio scorso, è modulata in sei scaglioni di valore che prevedono un versamento minimo di 30 euro per le cause di valore fino a 2.582,28 euro e un importo massimo di 1.500 euro per le cause di valore superiore ai 200.000 euro. Per definire il valore della causa ex articolo 12 del Dlgs 546/1992, utile per quantificare il contributo unificato dovuto, ci si deve basare sull'imposta richiesta nell'avviso di accertamento, al netto di interessi e sanzioni chieste con l'atto impugnato. Il versamento del contributo unificato potrà essere assolto tramite concessionari utilizzando il modello F23, codice tributo 941-T o con bollettino di conto corrente postale intestato alla sezione di tesoreria dello Stato competente per Provincia o con contrassegno (marca da bollo stampata presso le rivendite di valori bollati). Le citate modalità di pagamento prevedono comunque il rilascio di una ricevuta da allegare al ricorso al momento del deposito.
Le modalità Il ricorso tributario deve essere prima notificato alla controparte e poi depositato presso la commissione tributaria insieme alla nota di iscrizione a ruolo e alla copia dell'atto impugnato. La notifica del ricorso deve avvenire entro 60 giorni da quando è stato notificato l'atto impositivo (150 in caso di presentazione dell'istanza di accertamento con adesione). Nei successivi 30 giorni il ricorso va depositato presso la cancelleria della commissione tributaria provinciale. I termini restano però sospesi dal 1° agosto al 15 settembre, per l'annuale sospensione delle attività processuali. Oltre alla sottoscrizione del difensore, il ricorso dovrà riportare l'indicazione: - della commissione tributaria cui è diretto; - del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa sede legale o del domicilio eventualmente eletto nonché del codice fiscale compreso quello del difensore; - dell'ente contro cui è proposto; - dell'atto impugnato e dell'oggetto della domanda; - dei motivi di fatto e di diritto. La mancanza di una di queste indicazioni (fatta eccezione di quella relativa al codice fiscale) e della sottoscrizione del difensore determina l'inammissibilità. » Il reclamo e la mediazioneDal 1° aprile 2012 entrano in vigore gli istituti del reclamo e della mediazione, per gli avvisi di accertamento dell'agenzia delle Entrate di valore non superiore a 20.000 euro, notificati a decorrere dal 2 aprile (infatti il 1° aprile cade di domenica). Il nuovo procedimento riguarda le sole controversie di valore non superiore a 20.000 euro. Per valore della lite si intende l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato e, nel solo caso di controversie esclusivamente concernenti l'irrogazione di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste. Il contribuente non potrà proporre direttamente il ricorso alla Commissione tributaria provinciale, ma dovrà, sempre entro 60 giorni, presentare reclamo ed è esclusa la conciliazione giudiziale. La presentazione del reclamo, che deve avvenire negli stessi termini della proposizione del ricorso, è condizione di ammissibilità del ricorso e l'eventuale inammissibilità è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Tale nuova procedura non si applica alle controversie relative al recupero di aiuti di Stato. Il reclamo va presentato dal contribuente alla Direzione provinciale o regionale dell'agenzia delle Entrate che ha emanato l'atto. Il reclamo può contenere una motivata proposta di mediazione, completa della rideterminazione dell'ammontare della pretesa. L' organo destinatario, se non intende accogliere il reclamo, né l'eventuale proposta di mediazione, può formulare d'ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all'eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di sostenibilità dell'azione amministrativa, applicando - in questo caso - le disposizioni sulla conciliazione giudiziale, in quanto compatibili. Il comma 9 del nuovo articolo 17-bis del Dlgs 546/1992 stabilisce che « decorsi 90 giorni senza che sia notificato l'accoglimento del reclamo o senza che sia stata conclusa la mediazione, il reclamo produce gli effetti del ricorso ». Il ricorrente avrà quindi 30 giorni, per iscrivere la causa presso la Commissione tributaria provinciale. Se l'agenzia delle Entrate respinge il reclamo in data antecedente, i termini decorrono dal ricevimento del rifiuto. In caso di accoglimento parziale del reclamo, i predetti termini decorrono dalla notificazione dell'atto di accoglimento parziale. Nei giudizi relativi a questi tipi di controversie la parte soccombente è condannata, in aggiunta alle spese del giudizio, al pagamento di un'ulteriore somma pari al 50% delle spese di giudizio a titolo di rimborso del procedimento di reclamo o di mediazione. Al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, la commissione tributaria può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione. |